05 aprile 2006

Io voto per Raghav

«To forcibly close down a community-type radio is a sign of intransigence by the authorities over the emergence of pluralism on the airwaves.»
Reporter Senza Frontiere ha preso una forte posizione contro le autorità indiane che hanno sequestrato il microscopico impianto della stazione Radio Raghav FM Mansoorpur 1, la piccola, povera iniziativa di Raghav Mahto, nello stato indiano di Bihar. Ormai conoscete la storia di questa stazioncina, apprezzata dagli abitanti di un villaggio ma chiusa di forza a causa di un particolare francamente ridicolo per un trasmettitore che avrà si e no 1 watt di potenza: la "mancanza di licenza". Manco fosse una licenza di uccidere... L'importante organizzazione di giornalisti liberi stigmatizza la scelta delle autorità indiane come "segno di intransigenza nei confronti di un embrione di pluralismo mediatico".
La storia di Raghav sta diventando emblematica. E per chi, come me, segue il mondo della radiofonia da tanti anni, è una conferma in più (ma non guasta mai) della straordinaria, suggestiva potenza del medium che in barba a una storia così lunga, diventa spesso il primo terreno di scontro tra la modernità (perché pluralismo è modernità) e un conservatorismo autenticamente coglione (ormai si può dire così di chi non la pensa come te, no? non è mica una offesa). Raghav Mahto non faceva del giornalismo importante, non spostava grandi masse di voti, non contava e forse non conterà nulla. E allora perché metterlo a tacere? Reporter Senza Frontiere chiede al governo indiano di concedergli una licenza temporanea e di rivedere, contestualmente, la legge sulle stazioni comunitarie, per non trasformare una giusta regolamentazione in prevaricazione.
Ancora una volta la radio senza confini ci dà l'occasione di riflettere su che cosa vuole dire, per davvero, "libertà d'espressione". Dentro ai nostri confini, nella patria del giornalismo che non ha bisogno di veline perché il più delle volte se le autoscrive, sarebbe una riflessione zoppa. Gli organi di stampa delle democrazie occidentali in queste ore fanno fatica a riportare ai loro lettori la storia di un primo ministro manager e proprietario di organi di stampa, che per due volte apostrofa oppositori e una buona parte dell'elettorato con un linguaggio a dir poco infantile. Vorrei che la stessa incredulità, anzi l'incapacità a credere, fosse condivisa dai nostri, di lettori, ma il sospetto è che si siano (ci siamo) abituati a credere a tutto. Soprattutto al peggio.

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