11 ottobre 2006

Onde che pesano


Una giornalista uccisa per aver fatto il suo mestiere è una pessima notizia. L'altro giorno, in viaggio a Parigi, stavo leggendo Liberation a proposito della tragica fine (così "italiana": due colpi al petto, uno alla testa, il killer che si allontana, la complice che apre la porta alla vittima e la chiama per nome, come abbiamo visto mille e mille volte dalle nostre parti) di Anna Politkovskaya, voce libera della Russia "sotto lo stivale insanguinato di Putin", come scrive il quotidiano francese. Dell'amico Putin, come si vantava quell'altro. Nello stesso articolo, Libé racconta che insieme a Novaia Gazeta, una delle testate coraggiose che dava spazio ai reportage di Anna era una stazione radio, Echo Movsky, tra le poche a produrre una informazione obiettiva nella capitale russa. E oggi Repubblica dà alle stampe l'ultima intervista concessa da Anna a un'altra stazione, RadioFreeEurope/RadioLiberty, che in effetti dedica un'ampia pagina a quella chiacchierata del 5 ottobre. Spiegando anche il perché di quella data in particolare. Grottescamente semplice: è il compleanno del possibile mandante dell'omicidio, Ramzan Kadyrov, il quale a 30 può ormai aspirare alla stessa carica di presidente ceceno (voluto dall'amico Putin, si intende) che fu di suo padre, morto ammazzato nel 2004.
Ironia vuole che dalla radio del tassista che poche ore fa mi accompagnava al CDG per riprendere l'aereo per Milano, abbia potuto apprendere come oggi, in occasione del funerale, Putin avrebbe finalmente parlato, dopo tre giorni di silenzio. Tanto avrà impiegato a lucidarsi gli stivali. Era meglio se non avesse aperto bocca: "politicamente, i commenti della Politkovskaya erano del tutto ininfluenti," avrebbe detto. Il sito Web di Echo Movsky conferma in pieno la felice espressione nella sua notizia d'apertura. La traduzione automatica di Babelfish Altavista, per una volta, è spaventosamente fedele: "the degree of the influence of Politkovskoy on the political life was extremely insignificant". Un vero amicone.
Da Le Monde e dai giornali italiani, invece, apprendo della morte, negli stessi giorni, di due altri giornalisti radiofonici. Karen Fischer e Christian Struwe erano due giovani freelance che lavoravano per Deutsche Welle. Sono stati mitragliati da sconosciuti a Baghlan, in Afghanistan, altra località che ha saputo apprezzare l'efficacia normalizzatrice di svariati interventi militari, oltre che l'illuminata saggezza di governanti fanatici e sanguinari, gli stessi che oggi tengono sotto controllo quella ridente provincia. Di certe medaglie sul petto, il giornalismo radiofonico preferirebbe non fregiarsi ma non riesco a immaginare una dimostrazione più tragicamente efficace del ruolo che questo medium e la sua intrinseca indipendenza (quando lo si vuole indipendente, è chiaro) continuano a reggere, tra mille difficoltà, nei confronti di tutti coloro che hanno ancora a cuore una informazione corretta. Grazie Anna, Karen, Christian.

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