27 novembre 2006

I viaggi di Agide

La sua passione è ascoltare il mondo alla radio, captare voci lontane che attraversano i continenti sulle onde corte. Lui è l'imolese Agide Melloni, 57 anni, autista dell'Atc di Bologna oggi in pensione. Il 2 agosto 1980 era in servizio sull'autobus che trasportò le vittime della strage e per questo il nostro giornale ha già avuto modo di parlare di lui (si veda sabato sera del 3 agosto 2002). Stavolta, il pretesto per tornare farlo è per fortuna molto più lieve ed «etereo». Agide Melloni ha infatti vinto un concorso indetto da Radio Cina Internazionale e per questo dal 28 ottobre al 4 novembre andrà in viaggio premio a Pechino con la sua compagna.
Il viaggio di Agide - qui raccontato dal settimanale imolese Sabato Sera - ha fatto scattare l'interesse della redazione di Diario, che sul numero uscito venerdì in edicola (quello con il Dvd "Uccidete la democrazia") pubblica una intervista con Melloni dopo la sua esperienza cinese. Davvero un personaggio, questo guidatore di autobus con una parentesi di autentico eroismo nella vita e una passione comunista dichiarata ma tutt'altro che stolida e bacchettona. Al Sabato Sera Agide dichiara:

«Già da bambino ero affascinato dai suoni e al momento di andare a dormire, mio padre, per farmi star buono, mi metteva sotto il cuscino il disegno della radio».
Appena avuta la possibilità di spendere qualche soldo, ha acquistato il suo primo vero apparecchio. «Ho cominciato ad ascoltare la radio in modo più "organizzato" nel 1974. Nel tempo ne ho comperate altre, più potenti». Oggi il «parco giochi» di Agide, così lo definisce, è costituito da tre radio per l'ascolto e da una trentina di apparecchi da collezione, funzionanti o in attesa di essere riparati. La giornata in casa Melloni comincia in genere con il notiziario trasmesso dal Giappone alle 7.30.

Sul sito di Radio Cina Internazionale, il reportage sulla visita di Agide Melloni assume toni di epicità che ricordano molto quelli usati da Radio Pechino ai tempi in cui l'imolese iniziava il suo ascolto "organizzato". Nella pagina campeggia la foto di Agide che ascolta la radio con accanto - fatto abbastanza inedito per un hobby generalmente inviso alle compagne di vita - con la sua inseparabile Marilena. E nell'immagine si vede uno stendardo di Radio Berlino Internazionale, fu-emittente di uno stato che non esiste più.
Quello delle redazioni radiofoniche internazionali in lingua italiana è un mondo in via di estinzione. Con loro se ne andranno i concorsi per i loro ascoltatori (di solito si tratta di rispondere a domande le cui risposte si nascondono nei testi letti durante i programmi, o di inviare un componimento più o meno celebrativo della nazione e dell'emittente che bandiscono la gara), che venivano premiati con ricordini, libri e - vedi il caso di Agide e di qualche altro fortunato - con un viaggio. La Cina evidentemente è una destinazione molto ghiotta. Eppure allora si faceva a gara per essere invitati in luoghi assai meno stimolanti.
Se oltre al sito di Radio Cina Internazionale andiamo a spulciare quello di Voce della Russia, lo spazio dedicato alle lettere degli ascoltatori dimostra che in tutta Italia di Agide ce ne sono ancora (se non ricordo male l'argomento è stato affrontato da Enrico Bellodi in una tesi di laurea pubblicata tempo fa da Edizioni Medicea). Un ristretto pubblico di appassionati che continua a seguire i programmi rivolti all'estero, venendo comunque a consocenza di fatti, temi, persone che la nostra stampa ignora e che l'onnipotente televisione fatica a seguire. Pretendere che certe trasmissioni proseguano nella nostra lingua è davvero eccessivo. Inglese, spagnolo, arabo e francese potrebbero tranquillamente bastare: a mio modesto parere il medium onde corte potrebbe continuare a svolgere, anche in analogico, una preziosa funzione informativa e diplomatica, magari da coniugare con l'ininterrotta azione dei grandi broadcaster verso i luoghi di maggior criticità geopolitica. Fa pensare, in questo senso, un annuncio pubblicitario di un ricevitore, l'Eton E1 ("Il top delle radio a onde corte"), che oggi Andrea Borgnino mi ha segnalato da Repubblica. In un mondo globalizzato e popolato da viaggiatori e migranti non si capisce perché l'idea di un mezzo di comunicazione che costa così poco, può stare comodamente in tasca, consuma quattro pilette e non richiede connessioni fisse, computer e soprattutto infrastrutture e licenze pagate a carissimo prezzo, debba fare così schifo. Sono così scemi quelli della Eton, a intuire un mercato potenziale dove questo non c'è?
Eppure la passione di Agide sta per essere spazzata via dal generale calo di motivazione - e di finanziamenti - da parte dei vari governi. Le trasmissioni in lingua italiana spariscono e con loro se ne va anche una buona dose di incentivo a proseguire sulla strada di un hobby più tecnico. Contemporaneamente, nazioni di peso come l'Italia smettono di parlare di sé in onde corte. Tanto c'è Internet, o la tv satellitare, o il videofonino, rispondono gli avveduti strateghi di uno sfascio voluto per risparmiare poche migliaia di euro. Sì, ma c'è un sacco di gente che viaggia per lavoro e per divertimento, centinaia di milioni di persone che Internet non la vedranno mai. Un giornale radio internazionale costa infinitamente meno di un telegiornale ritrasmesso da una rete cellulare di terza generazione, che comunque non raggiungerà tanto presto l'interno, poniamo, della Nigeria. Rivolgersi alle popolazioni afghane via radio potrebbe risultare poco efficace, è vero: ma siamo sicuri che le bombe e le successive missioni di pace lo siano di più? Nessuno dice di concentrare l'offerta mediatica sulle onde corte: è il discorso del presunto ramo secco da tagliare che non riesco proprio ad accettare. Di mezzi di comunicazione non ce ne sarammo mai troppi, il rischio è semmai che siano troppo pochi.
Leggendo di Agide e del suo viaggio in Cina ho pensato alle celebrazioni del trentennale di Radio Popolare di questi giorni, a una trasmissione di tanto tempo fa. Sull'onda dei fatti del 1989 Paolo Hutter e Marco Formigoni vollero andare a esplorare da vicino le storie che portarono alla più stupefacenta svolta degli ultimi duecento anni di politica europea. Lo fecero proprio con le trasmissioni in lingua italiana, che dopo tanta retorica propagandistica si ritrovarono di colpo a dar torto marcio ai loro (spesso sanguinari) editori di riferimento. Nacque così Popolarest, una trasmissione che abbinava alle voci ascoltate sulle onde corte le testimonianze dirette raccolte "oltre cortina", come si diceva allora. Riascoltata oggi varrebbe più di un corso universitario. Ho chiesto a Danilo De Biasio, responsabile di Popolare Network e curatore di uno dei due libri celebrativi usciti in questi giorni, che ne sia stato delle registrazioni di Popolarest. Tutto in teoria si trova ancora nell'archivio della radio, saranno venti, trentamila cassette. Studiare, classificare quell'archivio, ridare un contesto a tutte quelle voci richiederebbe la dedizione e il lavoro di molti storici. Chi se ne sobbarcherà i costi? Il passato ci interessa poco, il futuro è condizionato dai mille tagli ai nostri già risicati bilanci. Ci resta un presente mediatico popolato di "famosi" (per che cosa, di grazia?) che per finta si azzannano alla gola su una finta isola deserta. Allegria.

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