27 febbraio 2007

Soccorso in mare, chi ascolta i mayday?

Domenica scorsa, mentre impacchettavo tutto per tornarmene in città dopo la breve vacanza di carnevale (potete leggere delle varie stazioni ascoltate, come sempre, su Radioascolto.org, il sito del DX impegnato all'italiana, in piena fase di rilancio e veramente zeppo di segnalazioni interessanti), mi chiamano gli amici della redazione di Corriere.it. Un'Ansa piuttosto curiosa era apparsa sui monitor e conoscendo la mia passione per la radio, i colleghi chiedevano un mio commento. Forse avete visto anche voi la notizia, ripresa da giornali e telegiornali: un radioamatore di Mestre avrebbe captato un messaggio di soccorso di una imbarcazione a vela italiana al largo delle coste venezuelane e avrebbe fatto scattare le operazioni di salvataggio. E' possibile un evento del genere, si chiedeva il Corriere? Non ci sono altre autorità preposte a questo tipo di intervento e soprattutto non sono di solito più vicine agli eventuali naufraghi?
Normalmente sì, è vero. In mare vigono regole molto precise sulla disponibilità di canali di chiamata radio per il soccorso e ultimamente le reti di assistenza alla navigazione terrestri sono state integrate dai ponti satellitari e dalle infrastrutture radiomobili telefoniche, anche'esse via terra o satellite. Il fatto riportato dai cronisti dell'Ansa non è però implausibile, perché i sistemi radio regolati dalla IMO e adottati dalle marine mercantili e militari di tutto il mondo, oltre che da tutte le imbarcazioni da diporto, non impediscono a queste ultime di ricorrere anche ad altri canali di comunicazione e supporto. Le barche a vela sulle rotte oceaniche costituiscono ormai una sorta di comunità indipendente, fatta da viaggiatori semiprofessionali, pensionati agiati, skipper a disposizione di turisti avventurosi. Un mondo variegato che ha imparato a servirsi delle apparecchiature radioamatoriali - disponibili ormai a ottimo prezzo, sicuramente più abbordabile della strumentazione satellitare o radio-digitale - per scambiarsi informazioni su rotte e porti, comunicare con le famiglie, ricevere notizie, bollettini meteo e, quando le cose vanno male, per cercare rapidamente soccorso. Un po' come avviene con la citizen band, i 27 MHz per i camionisti, i velisti frequentano decine e decine di reti informali di "maritime mobile ham radio nets", spesso riferibili a capimaglia localizzati a terra e a radioamatori/imprenditori del supporto alla navigazione che mettono a disposizione una serie di servizi informativi. A queste reti si aggiungono servizi come SailMail, che trasportano via radiomodem, nelle bande radioamatoriali, la posta elettronica di Internet.
Le reti di cui sto parlando sfruttano quasi invariabilmente le frequenze assegnate ai radioamatori, non quelle previste per i canali ufficiali di supporto al traffico marittimo. A volte si tratta di frequenze ufficiose, collocate poco oltre i limiti di banda prefissati, di solito nei 40 e 20 metri. In ogni caso sono frequenze che un radioamatore di terraferma può tranquillamente sorvegliare (anzi, in teoria possono essere sorvegliati da chiunque). L'incidente venezuelano si è verificato al mattino presto e propagativamente una ricezione a circa ottomila chilometri di distanza ci starebbe tutta. Niente può naturalmente escludere che si sia trattato di una bufala, che i naufraghi abbiano avvertito qualcuno col cellulare satellitare, che i soccorsi siano partiti dopo una chiamata sul canale VHF di soccorso (il numero 16) o sui 2182 kHz delle medie frequenze (chiamate voce). O magari dopo una chiamata digitale sulle frequenze DSC. Ma da quanto mi dicono gli amici che hanno trascorso a bordo di una barca vela lunghi periodi di crociera, i velisti sono molto affezionati ai loro "baracchini" radioamatoriali ed è verosimili che in una situazione anomala decidano di accendere per vedere se sulle frequenze dei net marittimi qualcuno è in ascolto e può avvisare le autorità. C'è anche il caso che si faccia più presto.

Nessun commento: