29 aprile 2008

La voce scomoda di un profeta di pace

Da qualche tempo cerco di dare un minimo contributo alla comunità religiosa cui appartengo (la parte italiana della mia famiglia è evangelico-metodista) sedendo nel comitato che coordina le attività del Centro Culturale Protestante di Milano. Si tratta in pratica di organizzare incontri e conferenze su tematiche non necessariamente religiose o liturgiche. Si spazia dalle grandi questioni etiche, politiche e sociali, fino alla storia e alla scienza. L'obiettivo è cercare di presentare punti di vista interpretativi che per certi versi possono costituire una terza via sia rispetto alla marcata tradizione cattolica nazionale (una tradizione che troppe volte, scusate) sfocia nella plateale ingerenza) e un laicismo assoluto. Il luogo dei nostri incontri è quasi sempre la Libreria Claudiana di Milano, un'oasi di cultura religiosa alternativa che riesce ad attirare l'interesse e l'affetto di molte comunità milanesi, non solo protestanti.
Il preambolo pubblicitario mi offre l'opportunità di parlare, come altre volte in passato, di una produzione radiofonica dell'American RadioWorks, una iniziativa finanziata dalla Corporation for Public Broadcasting. Nel 1968 non si celebra soltanto il quarantesimo anniversario del Maggio francese, ma un altro rivoluzionario personaggio. Il 4 aprile di quell'anno veniva infatti assassinato Martin Luther King, un predicatore battista che lasciò una indelebile impronta nella storia dei movimenti antirazzisti negli Stati Uniti. Le due Chiese battiste di Milano hanno organizzato insieme a tutto il CCP diversi eventi - una mostra fotografica, un concerto e una conferenza - che hanno avuto al centro questa figura, carismatica e scomoda al tempo stesso. Nel loro piccolo sono stati eventi molto seguiti, considerando che nell'Italia dei Papi tutto ciò che ha una pur remota matrice protestante viene, quando va bene, bellamente ignorato. King fu soprattutto un grande pastore evangelico, la sua predicazione non violenta strideva fragorosa con l'America del Vietnam e della segregazione razziale. Tanto che, come ci spiega il radiodocumentario King's Last March, per sei anni l'FBI gli stette alle costole per spiarlo e, possibilmente, denigrarlo.
Il programma messo a punto da American RadioWorks consente di farsi un'idea precisa della forza di quella predicazione e degli ostacoli quasi insormontabili che King dovette affrontare. Dico quasi insormontabili perché King venne brutalmente ucciso ma alla fine il suo messaggio è passato, ha inciso in maniera visibili sulle coscienze di allora. E forse a distanza di quarant'anni, davanti alla guerra e al razzismo che in qualche modo condizionano perfino i programmi elettorali di un'Italia infima e periferica, faremmo bene a riascoltarne la voce. Approfittate degli straordinari documenti sonori di King's Last March, che potete ascoltare sul sito della America Public Media, lasciandovi guidare, se volete, dalle trascrizioni di interventi e sermoni.
Ecco per esempio alcune parole sulla guerra del Vietnam che suonano tristemente attuali:
As I have walked among the desperate, rejected and angry young men I have told them that Molotov cocktails and rifles would not solve their problems. I have tried to offer them my deepest compassion while maintaining my conviction that social change comes most meaningfully through nonviolent action. But they asked -- and rightly so -- what about Vietnam? They asked if our own nation wasn't using massive doses of violence to solve its problems, to bring about the changes it wanted. Their questions hit home, and I knew that I could never again raise my voice against the violence of the oppressed in the ghettos without having first spoken clearly to the greatest purveyor of violence in the world today -- my own government. For the sake of those boys, for the sake of this government, for the sake of hundreds of thousands trembling under our violence, I cannot be silent.

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