20 aprile 2008

Ma in Italia l'ascolto si consolida

Mi è piaciuta la cronaca degli interventi al convegno veneziano della concessionaria Radio e Reti e quindi riporto il comunicato stampa che ho trovato su diversi siti (per esempio quello di Nicola Franceschini, su Dada).
Rispetto alla Francia, l'audience radiofonica in Italia sembra più stabile, forse anche perché finalmente il panorama si è consolidato. Venti anni fa Audiradio rilevava 700 emittenti. Oggi sono solo 300. Se ci fosse un po' d'ordine e meno ridondanza nelle frequenze, forse si aprirebbero nuovi spazi per le stazioni associative, orientate alle comunità di immigrati. Staremo a sentire...
Dal 1988, data di nascita di Audiradio, l’ascolto della radio in Italia è passato da 26 milioni di ascoltatori a 38,4 milioni. Della passione degli italiani per la radio e del futuro della veterana dei mass media si è discusso al meeting di Radio e Reti, storica concessionaria di pubblicità radiofonica, che si è aperto oggi a Venezia alla presenza dei principali operatori del mondo della pubblicità e a numerosi editori radiofonici nazionali e regionali.
La crescita del pubblico della radio in questi due decenni è andata di pari passo con l’incremento degli investimenti pubblicitari sul mezzo: dai 94 miliardi di lire del 1988 ai circa 500 milioni di euro previsti per l’anno in corso, la quota è passata da 1,7% del 1988 al 7% del 2008.
Le 700 radio rilevate da Audiradio nel 1988 sono scese alle circa 300 attuali.
“Il mercato della radio in questi venti anni, per effetto di acquisizioni e accorpamenti, si è semplificato in termini quantitativi ma è cresciuto dal punto di vista qualitativo e la crescita dell’ascolto globale del mezzo ne è la dimostrazione. Quella che era considerato un mezzo in via di estinzione a causa dell’esplosione della tivù privata si è invece rivelato il mezzo più dinamico e innovativo del sistema dei media. La novità dei prossimi anni si chiamerà radio.”, ha detto aprendo i lavori Enzo Campione, presidente di Radio e Reti.
A indagare sui motivi del successo della radio sono stati chiamati filosofi, musicisti, matematici e sociologi.
Coordinati da Claudio Sabelli Fioretti hanno discusso di radio il matematico Piergiorgio Odifreddi che, dopo aver raccontato i suoi esordi nel 1975 a Radio Cuneo Democratica come conduttore di un programma di free jazz, ha spiegato come in FM si possa fare anche divulgazione scientifica. “ A patto però che il ragionamento non si debba interrompere continuamente per trasmettere la musica”., ha precisato.
“Musica e ancora musica”, chiede invece alla radio Max Gazzè, musicista e compositore, che con il brano Il solito sesso, presentato a Festival di Sanremo, ha totalizzato il maggior numero di presenze radiofoniche negli ultimi mesi.
“Per un musicista la radio non è solo uno strumento di promozione del proprio lavoro ma è anche un indispensabile strumento di indagine su quello che altri artisti stanno facendo. A differenza di Odifreddi che vorrebbe una radio di sole parole io vorrei una radio di sola musica.”
La discussione non è stata solo sui modelli editoriali che si contrappongono nell’etere - radio di parola contro radio musicale - ma piuttosto sul ruolo della radio in un mondo della comunicazione che sembra ormai convergere non più sul computer, come si credeva fino a pochi anni fa, ma sul telefonino.
Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica all’Università di Torino, autore del saggio “Dove sei? Ontologia del telefonino”, ha spiegato come tutte le forme di comunicazione, pubblica e privata, stiano convergendo verso i cellulari (50 milioni di esemplari nella sola Italia) che sono diventati, da strumento di comunicazione personale, uno strumento elettronico in cui si raccoglie il nostro essere sociale e la nostra identità individuale e collettiva.
“La radio indiscutibilmente sta vivendo una seconda vita”, ha concluso il sociologo Francesco Morace, presidente del Future Concept Lab, centro di studio sulle tendenze di consumo e sociali, “perché per la sua stessa natura lavora per affinità con il pubblico. Si ascolta una radio e ci si riconosce in essa per affinità di stili di vita, di gusti musicali. Questa adesione diventa fondamentale per orientarsi nel labirinto di informazioni e di emozioni che ci circonda quotidianamente. La radio ha una ‘buona reputazione’ e questo le ha consentito di guadagnare consenso più di altri media.

1 commento:

gianfranco verbana ha detto...

D’accordo,in parte,su quanto detto da alcuni docenti manca in tutto questa analisi un ovvia ma spesso dimenticata considerazione del successo della radio “La radiocomunicazione non richiede la propria presenza davanti al ricevitore”. Si hanno gli occhi e le mani libere per continuare a fare tutto ciò di cui eravamo occupati. Cosa non possibile con la televisione. Senza poi dimenticare il grande vantaggio della mancanza d’immagini che insieme ad alcune demenziali pubblicità ,deformano il cervello alterando la visione della realtà. La radio è un pò come leggere occorre interpretare,immaginare. In tutti i casi si impara ad ascoltare e stimola la fantasia. Potrei continuare, ma ciò è abbastanza per dire che la radio non avrà un tramonto.