19 marzo 2013

Da San Francisco a Torino, storie di sangue firmate in codice



No, non abbiamo esattamente avuto la nostra nazionale versione di Zodiac, lo spietato killer seriale che alla fine degli anni '60 agì in California, a San Francisco e dintorni, lasciandosi dietro una lunga scia di messaggi, alcuni dei quali criptati, dal contenuto ancora oggi oscuro. Tra la storia californiana e il delitto avvenuto una decina di anni prima, nel 1958 in via Fontanesi a Torino  un paio di elementi in comune, però, ci sono. Quello più vistoso è che in California come a Torino i colpevoli non vennero mai trovati. L'altro è la crittografia. Per il resto, ci sono molte differenze, a cominciare dal clima. Malgrado il bel tempo stabile della Bay Area, Zodiac fu anche molto più spietato: fece fuori sette persone. 
Nel caso raccontato l'altra sera dalla trasmissione di RAI 3 Il giallo e il nero, dedicata al delitto torinese,  la vittima fu una sola, Mario Giliberti, emigrato da Foggia, ex telegrafista dell'Esercito, lavoratore a Mirafiori. Il serial killer americano è passato alla storia non tanto per gli omicidi perpetrati in una nazione tristemente assuefatta a questo tipo di violenza, quanto per i messaggi in codice inviati alla stampa locale, quattro "crittogrammi" di cui solo uno effettivamente risolto. Anche Torino, in quello che sarebbe  diventato il "Caso Diabolich" - nome che sembrava ispirarsi al protagonista di un giallo di seconda categoria scritto all'epoca da un cronista di nera  e successivamente adottato, con la variante della "k" finale, dalle sorelle Giussani per il loro fumetto - il quotidiano La Stampa ricevette dall'omicida di via Fontanesi diversi messaggi, quasi tutti  "in chiaro". Firmandosi appunto Diabolich, l'assassino - o qualcuno che si spacciava per lui - si serviva di trucchi crittograficamente banali come gli acrostici e gli allineamenti verticali per provocare gli inquirenti con qualche indizio, vero o presunto. Come vanno ripetendo da anni i "profilatori" dei telefilm americani, i serial killer uccidono e lasciano indizi per farsi beccare e questa sembrava proprio l'intenzione di Diabolich, visto che sul luogo del fattaccio il primo messaggio recitava "prenderete l'Assino", con tanto di sfottò ortografico.


L'evidente sfida lanciata con sarcasmo in faccia a chi avrebbe dovuto indagare sulle diciotto coltellate sferrate al povero Mario si risolse in un nulla di fatto. Del delitto venne accusato un giovane amico di Giliberti, un commilitone, ma l'accusa non resse. La polizia era arrivata a lui perché uno dei messaggi conteneva un riferimento alla divisa che vittima e ipotetico assassino avevano "portato insieme". Quello della divisa è tra l'altro un particolare che sembra aver mantenuto tutta la sua credibilità, perché l'ipotesi formulata dagli autori del programma, analizzando anche il linguaggio usato nei fogli fatti avere alla Stama, è che comunque quell'omicidio dovesse essere maturato nell'Esercito e precisamente nel corpo trasmissioni, dove Giliberti era diventato "marconista specializzato". 

Nel corso del programma, il bravo attore Cesare Bocci, il Mimì Augello del Montalbano televisivo, al quale è stata affidata la conduzione de Il giallo e il nero, ha mostrato anche i due messaggi che "Diabolich" aveva messo in codice. Per la verità non hanno il classico aspetto dei crittogrammi seri, sono solo brevi sequenze di lettere, una quarantina di caratteri ottenuti probabilmente - almeno a quanto riferito da Bocci - rimescolando la sequenza originale. In confronto i messaggi di Zodiac erano crittograficamente molto più evoluti, con le lettere o le sillabe sostituite da una cinquantina di simboli diversi.  A quanto pare solo uno di essi era stato decifrato in modo certo, all'epoca in cui il killer era ancora in attività. Poi i vari tentativi non sono andati in porto, malgrado gli sforzi di analisti e matematici. Su Web si trovano diversi siti specializzati sul "killer dello zodiaco", Zodiackiller.com, Zodiac Killer Ciphers, Zodiac Ciphers.  Il materiale sul delitto di via Fontanesi è invece piuttosto scarsino. Negli ultimi anni è apparso un libro, ormai difficile da reperire, scritto dal giornalista della Stampa Maurizio Ternavasio, intervistato da Il giallo e il nero. Chi uccise in modo tanto efferato il marconista Giliberti? Fu davvero il commilitone senza nome che compare, come un fantasma, nella fotografia della naja citata dalla trasmissione? Nessuno dei messaggi in chiaro o "in cifra" è riuscito a fornire informazioni definitive, a parte quel vago linguaggio militaresco segnalato in conclusione da Bocci. A meno di pensare a una tardiva confessione a 55 anni dagli eventi, il mistero di via Fontanesi è probabilmente destinato a rimanere tale.

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