19 giugno 2014

Programmi finanziati dal crowd-funding: la radiofonia può vivere senza radio?

È davvero pensabile un modello di radiofonia libera almeno in parte, da concetti tradizionali come "infrastruttura trasmissiva", "network", "canone", "spot pubblicitario" e in grado di rendersi completamente autonoma dal punto di vista della fruizione e del finanziamento? Se dobbiamo fidarci di "radiofonari" esperti come Sergio Ferrentino e Alessio Bertallot - insieme a Novara in occasione del Festival delle Web radio universitarie organizzato da Raduni, il FRU2014 organizzato da Radio 6023 - sembrerebbe di sì. Ferrentino in particolare è convinto che casi come Fiorello e lo stesso Bertallot dimostrano che certe personalità radiofoniche potrebbero proporsi sul mercato attraverso un modello che sostanzialmente possiamo chiamare di podcast in abbonamento, o a consumo, mentre la radiofonia convenzionale dovrà sempre più orientarsi al servizio, all'informazione locale o per fasce specifiche di ascoltatori, gli automobilisti, i turisti, gli anziani e così via.
Anche di questo si è parlato nella conferenza di apertura di FRU2014 con Giorgio Simonelli (Università Cattolica), Sergio Ferrentino (Fonderia Mercury), Alessio Bertallot (CasaBertallot),  Marcello Pozza (Bata in store radio e Good Mood edizioni audiolibri) e Michele Tesolin (presidente RadUni). Su questo convegno varrà la pena ritornare, perché i relatori hanno dato moltissimi spunti sul complesso tema del passaggio da una radiofonia a modello misto pubblico-privato che ci ha accompagnati negli ultimi 40 anni a un mondo diverso, in cui la radio pubblica e commerciale è in vistosa crisi di fiato, sul piano finanziario, pubblicitario, dei contenuti. Intanto potete ascoltare qui l'audio dell'evento:

Nel frattempo però il modello di cui parla Ferrentino sta lanciando segnali interessanti nell'ambito del crowd sourcing (adottato del resto da Bertallot per la sua fortunata formula di "hausmusik" in senso quasi settecentesco). Su piattaforme come Kickstarter e Indiegogo si moltiplicano le richieste di finanziamento che arrivano dagli ideatori di programmi radiofonici, anche cult, che oggi faticano a trovare sponsor e spazi sui network e on the air, malgrado da tempo abbiano adottato la formula (molto simile al podcast se ci riflettiamo bene) della syndication. Giorni fa mi è capitato di segnalare su Facebook, il caso dei Radio Diaries, una serie della Public Radio americana che si sofferma sulla vita, mai banale, delle persone comuni. Su Kickstarter i Diaries cercano di raccogliere ben 40 mila dollari e a 8 giorni dalla conclusione della campagna sono arrivati a 26 mila. Ai sostenitori verranno regalate anche radio a transistor "vintage".
Oggi, su segnalazione di Francesco Baschieri di Spreaker (a proposito, andate a vedere la loro nuova mobile app per diventare in un minuto podcaster con lo smartphone), capito sulla newsletter Radio & Internet News, dove insieme ai Radio Diaries vengono illustrate diverse campagne di crowd funding di matrice radiofonica, non solo americane come dimostra il caso del britannico The Media Podcast. Insomma, forse il mondo sta cambiando davvero e continuerà a essere sostenibile. L'unico problema, rilevato anche dai relatori del FRU, è quello della identità troppo debole del singolo programma rispetto alla visibilità che può avere la radio in generale attraverso un network nazionale o una importante stazione locale. Riusciranno gli eroi della nuova radiofonia virtuale a fare a meno del brand? Finora i tentativi di costruire visibilità con gli aggregatori di podcast non hanno avuto enorme successo, anche se ormai brand come Soundcloud e lo stesso Spreaker sono molto solidi (non a caso Soundcloud viene scelto da molti come piattaforma di distribuzione). Voi che ne pensate?

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